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Tales of another, Gary Peacock, Keith Jarrett, Jack DeJohnette



E' come se la vita intera fosse un cammino a ritroso, un non tempo. Ti trovi da qualche parte in un certo momento, ma in realtà quel luogo non è un luogo in sé, se non i posti da cui sei già passato e quello stesso istante è concatenazione di un tempo precedente; un orologio che segna un'altra ora, né presente, né passata, né futura. Di ciò che vedi o ascolti adesso, puoi capirne il senso, l'ineluttabilità soltanto dopo che il presente stesso è trascorso. Un continuo paradosso, un altrove, persone che esistono quando non ci sono più, il nostro stesso racconto che è il racconto di un altro. Divagazioni. Il jazz è questo perché il jazz pretende di essere la vita e, dunque, il reale, l'altrove e il non tempo. Questo stesso blog è una continua divagazione. Non parlo di jazz ma di ciò a cui il jazz mi spinge. Credo che la realtà sia questo e così l'amore e la passione e la bellezza. Tutto il resto, ciò che gli umani chiamano quotidiano, è sottoprodotto, mistificazione del reale, scarto talmente mediocre da divenire moneta corrente per le masse. E quando le masse non capiscono, bruciano l'eretico, lo chiamano elitario. Ma la vita non è per tutti, dà l'illusione di scorrere da sola, però, in realtà la vita sono i sassi che lanciamo verso il cielo stellato, sono le stelle che riusciamo a infrangere e se le nostre tasche sono vuote possiamo solo maledirle e odiarle.


Devo smetterla con il jazz. Alimenta la mia predisposizione a convivere con i fantasmi, ma poi mi passa per le mani questo disco del '77. Un titolo di quelli che la mia inclinazione coglie al volo "Tales of Another". Per chi voglia qualche notizia, qualcosa da snocciolare ai commensali in attesa del vitel etonné, il progetto è stato scritto da Gary Peacock, sublime contrabbassista che mi ha fatto conoscere Bill Evans. A Bill nel '61 era accaduta la disgrazia di cui sappiamo. Scott La Faro si era schiantato contro un albero e il favoloso trio con lui (Bill Evans al pianoforte, Scott La Faro al contrabbasso, Paul Motian alla batteria). Un anno di silenzio, droga e depressione poi Chuck Israel ne prende il posto. Nel dicembre '63 Evans, però, chiama Gary Peacock. Viene registrato per la Verve "Trio '64" sempre con Paul Motian alla batteria con cui Gary aveva già lavorato pochi mesi prima, incidendo "Paul Bley with Gary Peacock". Da lì in poi l'intreccio artistico con Paul Bley a cui si somma il curioso intreccio personale (Annette Peacock, moglie e musicista, diverrà successivamente coniuge dello stesso Bley)., Albert Ayler e molti altri. Verso la metà degli anni '60 Peacock si trasferisce in Giappone, abbandonando temporaneamente la musica per studiare filosofia zen. Tornato negli Stati Uniti inizia a studiare biologia e poi teoria musicale alla Cornish College of the Art. Nel decennio '77 - '87 registra con ECM 5 progetti musicali da leader. "Tale of Another" è uno di questi.

Registrato nel febbraio del '77 presso i Generation Sound Studios a New York con Keith Jarrett al pianoforte e Jack DeJohnette alla batteria, l'album è il primo di un trio che dal 1983 sarebbe divenuto il Trio Standards, una delle più importanti formazioni della storia del jazz. Gary adesso ha 84 anni e si è ritirato per via delle precarie condizioni di salute, ma la sua musica continua a sostenere il mondo.


"Tales of Another" ha una splendida porta di accesso. Si entra in queste stanze con la bellissima "Vignette". Sembra di attraversare un edificio abbandonato, laddove i ricordi, scene del quotidiano incrostino le mura. Il piano fa un uso domestico dei sentimenti. Si leva la voce dello stesso Jarrett a schermire la musica per ciò che è, facendole il verso, gracchiante, in falsetto. Sono sketch della nostra stessa vita, dato che il ritratto minuto non esiste. Mentre ascolto mi viene in mente una curiosità, ovvero che questa è musica di 3 pianisti (DeJohnette e Peacock hanno iniziato il loro percorso musicale suonando il piano) Di DeJohnette personalmente apprezzo l'essenzialità, l'inventiva, l'azzeramento di ogni autocompiacimento. L'assolo iniziale in "Major Major" di Gary Peacock è un'inclinazione del carattere. La capacità di andare in profondità, dire poche frasi illuminanti con assoluta chiarezza per poi disporsi immediatamente alla partecipazione. Penso che il jazz che più amo non debba mai acquietarmi, ma, altrettanto, occorre mi offra ricompensa. Possibile abbia a che fare col sesso. "Major major" ha in sé questa duplice valenza: contiene i sapori per soddisfare le mie papille e anche la chimica necessaria ad affamarmi. E' jazz che fisicamente fa venire l'acquolina, come un buon sigaro o un cocktail gustoso adornato ad arte, laddove il sapore che eccita la sommità del palato o la punta della lingua, si doppia con la sapienza della guarnizione che altro non è se non narrazione, predisposizione al piacere e promessa mantenuta. 6 pezzi. Gli ultimi 3 sono tre parti di una medesima trilogia. La prima delle tre, "Trilogy I" ha in sé l'anima recondita di passione e morte che è nelle pieghe dell'ancestrale spagnolo, trattato con levità e inventiva, tanto da poggiare solo il piede sul predellino ispanico per poi volare leggera laddove il momento suggerisca. "Trilogy II" è più intima, più swingante, utile a soggiornare al bancone in ozio a veder passare i giorni trascorsi o qualche bella ragazza che appartenga ad altre vite, poiché in fondo l'intero lavoro è solo il racconto di un altro. Struggente la conclusione del brano che ci offrono in sequenza, drammaturgica e lieve al tempo stesso, prima Gary Peacock in assolo, quindi, leggermente prevalendo DeJohnette, poi il crescendo del pianoforte di Jarret. "Trilogy III" è riprendere la vita per i capelli e portarla a spasso o esserne portati, che tanto chi se ne frega? E' la stessa cosa. Non a caso, dunque, il 3 quale elemento riportato in questa conclusione musicale tripartita. Il 3 è creazione, ascesi e resurrezione e c'è bisogno di tutte per divenire gli dei che siamo.


Possibile, dunque, che abbia ascoltato questo disco perché necessario non tanto al mio presente, ma ai giorni a venire ed è altrettanto possibile che il segno che ne ho colto sia frutto non del disco in sé ma del percorso che io stesso ho fatto sin qui. E' ovvio, dunque, anche solo ascoltando jazz, quando è arte evocativa come nel caso di "Tales of another", che tutto è uno. non c'è ieri, non domani, non qui e non adesso. E' tutto un altrove e il gioco migliore che possiamo compiere è quello di perderci. Perderci in "Tales of another" e farci ritrovare da uno sconosciuto che altri non è se non noi in persona.


Per ascoltarlo clicca su "Tales of Another" di Gary Peacock (Gary Peacock contrabbasso, Keith Jarrett pianoforte, Jack DeJohnette batteria)


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Besos



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