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Raymond Carver, una storia
Aggiornamento: 13 ott 2019
Recensione della graphic novel "Raymond Carver, una storia" di Valentina Grande e Valerio Pastore, pubblicato da Becco Giallo.

Preambolo. Ci sono momenti, poi vite intere. Ognuno di noi sa quando ha iniziato a somigliare alla persona che è diventato, sa perché. Non parlo di analisi, costose sedute da uno psicologo, ma la poetica visione di noi stessi, non per questo meno vera di quella che potrebbe renderci il lucido raziocinio. Le cose accadono, devono accadere e l'imponderabile è la variabile che fa parte della formula. Esiste, quindi, una vera e propria espressione matematica che governa le nostre vite. Molti dei valori che determinano il risultato siamo proprio noi a inserirli, liberamente. Siamo noi a decidere se darci coraggio, fare più di 10.000 passi al giorno, essere curiosi, praticare la mediocrità convinti che ci ripari o aprirci alla speranza. Siamo noi a incatenarci a un'unica passione o a un gatto e tutto ciò, a seconda che lo si guardi da vicino o da lontano, somiglia rispettivamente ad un racconto oppure a un romanzo. Per comprendere, però, il senso, del quadro intero, per avere esatta la nostra cifra solo la poesia può esserci d'aiuto.
Svolgimento. Sono alla Stazione Centrale di Milano. Ho appena reso visita al signor Google, il tizio che ci conosce per quello che davvero siamo grazie alle confessioni che gli rendiamo sul suo motore di ricerca. Per lui non siamo una poesia, né romanzo e nemmeno un racconto, bensì query, stringhe digitali codificabili che elencano cosa vogliamo dalla vita, che sia un microonde o sesso proibito. Dovremmo chiedere a lui tanto quanto a uno specchio riguardo il nostro quotidiano invecchiare. Ma questa è un'altra faccenda, riguarda la mia vita di marketer. Nell'attesa del treno perdo tempo alla libreria Feltrinelli. Ho ancora un sacco di libri da leggere e non accetto più di comprare per possedere. Mi viene in mente, però, che ho un debito con Raymond Carver. Ha a che fare col suo minimalismo, con l'arte del narrare per episodi. Si tratta dello stesso amore che nutro per Louis Ferdinad Celine. Hanno entrambi empatia verso coloro che si perdono e la capacità di guardare la realtà a un centimetro di distanza, nella forma apparentemente più banale e per questo più poetica. Poesia e racconto quale dimensione umana, visione Aristotelica dell'attimo, del presente, unico possibile dato che il passato è trascorso e il futuro non esiste (eccetto che per il signor Google e le sue predizioni algoritmiche).
Cerco Carver tra gli scaffali della libreria su tre piani. Mi piazzo di fronte ad un piccoletto semi calvo. Lui e un collega stanno disquisendo riguardo come esporre i romanzi a sconto. "Invece di tenerli a cazzo, potremmo impilarli privilegiando gli alto-vendenti.." L'altro si gratta la testa, guardando nella direzione indicata dal collega. "Sì, però i piccoli editori dove li mettiamo..?" Resto tra i due in attesa. "Per ora li appoggi lì, poi vediamo.." Sfrutto una pausa per domandare. I racconti sono poco distanti, avrei potuto arrivarci anche da solo. Lo colgo nello sguardo del piccoletto. "Le poesie, invece, le trovi lì..." Resto interdetto. Carver ha scritto pure poesie? "Certo.." mi risponde il bassotto, assumendo l'aria del professore sorpreso dalle lacune del proprio studente. Razza di ignorante. Sfoglio per primi i volumi di poesia, ma è un momento della mia vita in cui domina il presente. Mi ricordo di una raccolta di racconti che fece penare l'autore perché inizialmente ignorata da critica e pubblico. Mi metto sotto braccio "Vuoi star zitta, per favore?", quindi, scendo di un piano. Ho voglia di fumetti. C'è stato un periodo in cui mi piacevano molto le vicende familiari ambientate a Tel Aviv raccontate da Hasaf Hanuka. Il treno parte tra 30 minuti. Ho tutto il tempo per lasciare che sia il caso a guidarmi. Rovisto tra le graphic novel. Dai, non ci posso credere! Mi finisce tra le mani "Raymond Carver, Una storia" di Valentina Grande e Valerio Pastore , una graphic novel sulla vita di Raymond Carver edita da Becco Giallo.
Lo sfoglio. Mi colpisce la bella copertina, il tratto di Valerio Pastore accurato, poetico, espressione del silenzio come solo le arti visive possono. La narrazione è costretta a descrivere anche l'oblio, mentre un fumetto lo può far semplicemente vivere, tavola dopo tavola, impedendo che mentalmente affiorino le parole. Alla cassa mi rammento che non avrei dovuto comprare niente. Troppo tardi. In treno devo lavorare, lo so, ma decido di iniziare a leggere almeno le prime pagine. Valentina Grande ha una scrittura rarefatta, incline alla bellezza, essenziale, che scaturisce dalla verità e dalla poesia e al tempo stesso la crea. Mi sembra di essere immerso in una suite jazz eseguita in modo sublime da un duo di musicisti. Direi piano e tromba, un po' come quando sentii Uri Caine e Dave Douglas e mi venne da piangere per la perfezione del suono. Leggo delle frasi, la scelta stessa dei concetti, così verosimili, così vivi, così ampi da generare essi stessi vita. Ripongo a malincuore il volume e inizio a lavorare. La rata del mutuo non aspetta.
Giunto a casa, dopo cena leggo il libro due volte di seguito. Non ci vuole molto, è una graphic novel, ci sono molti silenzi. L'ho letto e riletto perché volevo farlo, ne avevo bisogno. Cercavo Carver e ogni idea a lui e a me associabile, un po' come con gli oroscopi in cui si pretende di riconoscersi. La mia biografia è totalmente diversa, il travet, l'uomo invisibile, niente autolesionismo, ma in ognuno di noi ci sono spazi, stanze arredate delle quali si è perso la chiave. E la bellezza, perché lei è il vero ponte, ogni volta, tra me e il mondo.
Frugo tra le pagine. Prendono forma il tormento dell'autore, la necessità di esprimersi, la scrittura come riscatto, l'alcolismo, l'amore per le persone ai margini, l'empatia con loro in quanto gente qualunque che fa del proprio meglio per campare, il poco tempo a disposizione, sperperato, o forse no, tra lavori di poco conto, i bambini avuti troppo presto, spesso residuali rispetto alla sua vita, la bellissima scena dell'allunaggio, i debiti che gli rubano il respiro, Maryanne, sposata troppo presto. il rapporto col padre e i colori. Sì i colori. Una sorta di crepuscolo continuo, azzurrognolo, che si accende di luce gialla, fluorescente. La luce che compare tutte le volte che il sentimento di violenta disperazione trova pace in qualcosa che sia un ricordo d'infanzia o la bottiglia.
E le parole, i concetti. Le trote ferite che per resistere alla corrente si ricoverano in anse del fiume, restando immobili e certe frasi come "Nessuno all'inizio ha il progetto di avere creditori alla porta, di tradire sua moglie, di mentire e di finire alcolizzato." o ancora "Dopo un po' ci si abitua all'amarezza di essere sé stessi.". o "Non mi dire che abbiamo buttato il nostro tempo, non te lo permetto.." e ancora "Ho vissuto tante vite diverse, più o meno tutte infelici. Ogni fallimento era una vita. Non erano vite sbagliate. Erano tutte praticate con speranza.".
Chiudo il libro. Ho comprato la graphic novel essenzialmente perché parlava di Raymond Carver ma i due autori, ognuno sublime nella propria parte, hanno propagato l'arte non come eco, ma in quanto atto creativo, nobile e saldo tanto quanto l'originale a cui si sono ispirati. Per cui, dannazione, compra il libro perché non ci si priva di un'opera d'arte solo per un mucchio di volumi non letti che abbiamo nelle nostre polverose librerie. Compralo perché ogni volta grazie alla bellezza torniamo sempre a essere ciò che siamo e questo il signor Google non lo sa.
Buona lettura con "Raymond Carver, Una storia" di Valentina Grande e Valerio Pastore , edito da Becco Giallo.
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