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La gentilezza nella musica di Bill Evans

Quanto un tratto della personalità può essere determinante nell'opera di un artista? Quale nesso ciò crea col pubblico? L'indole incide sempre sul prodotto finale, almeno indirettamente, ma la gentilezza in Bill Evans è una vera e propria chiave di accesso per l'artista alla bellezza e per chi ascolta alla sua musica. Si tratta di una comune sensibilità necessaria a stabilire un ponte consapevole e autentico che, sebbene univoco (va dall'artista alla bellezza e dal pubblico all'artista senza una vera e propria bidirezionalità), è condizione che consente di creare valore ad ogni passaggio (nell'atto della creazione così come in quello della fruizione)..
Per percepire quanto questo elemento sia determinante, vi consiglio di leggere "The Big Love: Life & Death with Bill Evans” di Laurie Verchomin che uscirà anche in Italia nel 2021 tradotto da Minimum Fax.
Laurie, oltre che sensibile scrittrice, fu la giovane compagna di Bill Evans nei suoi due ultimi anni di vita. Ho avuto modo di conoscerla per corrispondenza e condividere con lei i primi due capitoli della graphic novel "Bill Evans a portrait". Con l'entusiasmo dell'autore che vede crescere quasi autonomamente una storia (emozionanti le illustrazioni di Valerio Pastore, già autore del notevole "Raymond Carver una storia" insieme a Valentina Grande), non ho messo nel conto l'elemento personale e l'impressione che gli accenni alla dipendenza di Bill nei confronti della droga, più espliciti nei primi capitoli, potevano in lei suscitare.
Per Laurie tali accenni (nonostante siano descritti in dissolvenza, proprio perché non centrali rispetto alla narrazione) sono stati vissuti come "a very low vibration". Mi ha,invece, regalato una descrizione di Bill che trovo centrale rispetto all'arte del pianista, alla sua indole e che riporto fedelmente: "If you want to portray Bill in a poetic way, then it would be best to focus on the beauty he created. All around Bill there lived a wonderful loving landscape that emanated from his soul. Such beauty is hard to describe. Like an aura that extended out to the edges of the universe.. Bill was an angel in an earthly form."
Credo che la vita di Laurie sia cambiata grazie al tocco di Bill, perché Bill è stato probabilmente per lei un ponte con la bellezza, le ha mostrato con l'esempio come si fa a entrarvi in contatto, come a non farla chiudere in sé stessa (per questo è inconoscibile ai più, che per averla tentano di assoggettarla). La scommessa, dunque, per chiunque tratti dell'opera o della vita di Bill Evans è quella di riuscire ad avvicinarlo a coloro che non lo conoscono, a quanti percepiscono l'intima connessione tra la propria anima e il tutto, senza per forza dover parlare di Dio, ma semplicemente di armonia.
Come provare, quindi, a scrivere di Bill Evans? Prima di tutto ho iniziato dalla fine. “I’m going to drawn” mormora, soffocando nel suo stesso sangue. È il 15 settembre 1980. Da giorni ha forti dolori allo stomaco, non dorme. La causa ufficiale della morte fu una combinazione di ulcera peptica, cirrosi, polmonite bronchiale ed epatite non trattata. Joe LaBarbera (batterista) e Laurie Verchomin lo portano subito al Mount Sinai Hospital di New York. Muore così l'uomo. Un dato crudo, fisico, distante da ogni forma di bellezza, sebbene la sua stessa morte, per quanto dolorosa, lo abbia congedato dal mondo senza esporlo a una lenta, pubblica agonia, ostaggio degli ultimi legami col reale. La sua, in vita, specie negli ultimi anni, fu, piuttosto, una convivenza con la morte, ma non le cedette mai la sua arte, neppure per un solo giorno. La musica è sempre stata per lui più importante della morte così come della vita stessa, perché essa era oltre entrambe. Per questo in "Bill Evans, a portrait" Bill è al di là di tali dimensioni.
“When I met Bill it was obvious to me he was walking the liminal bridge..” mi scrive Laurie Verchomin. “.. the space between worlds. This is what I recorded in my book.” Ciò conferma la convivenza del musicista con una morte costantemente presente, ma anche la strenua difesa della bellezza da lui condotta n ogni istante, contro le sue stesse debolezze. La droga, vera causa della morte in quanto debilitante, non fu, credo, fonte di ispirazione, ma sabbia con cui tentare di riempire i buchi che la vita e la sua stessa sensibilità avevano negli anni recato alla sua anima.
Pur essendo, quindi, la vita il punto da cui sono partito, non ho scritto una vera e propria biografia. Definisco "Bill Evans, a portrait" una "biografia magica", nel senso che parte dallo studio dell'artista e dell'uomo per poi provare a indovinarne i tratti, utilizzando un metodo che mi è consueto, ovvero azionando le porte girevoli tra vita e morte , passato e presente (vedi il mio romanzo "Chiedi a Coltrane"), mantenendo ciò che giudico essere i tratti caratteristici. della personalità esaminata per spingermi a immaginare il percepito.
In Bill la gentilezza è la chiave di relazione con la bellezza dell'universo. e tale bellezza è un fiore (lo dico oggettivamente, senza amor di retorica) che secca in un istante quando si pretende di ghermirlo (si offre solo a chi ne ha cura). In questo trovo un prezioso parallelo con la dedizione che Earl Zindars (sodale di Bill, compositore e che lo ebbe come testimone di nozze) aveva per le sue rose. La "biografia magica" come modalità di narrazione consente, inoltre, una totale libertà poetica a Valerio Pastore, che non a caso, grazie a una comune sintonia, ha tratto delle immagini simbolo (la riemersione di Bill dalla morte, il suo confondersi contro la parete della sua abitazione fino a dissolversi in essa, etc). Si tratta, quindi, di un'epica di Bill e del suo spirito.

Esclusivamente la gentilezza può descrivere la gentilezza, ma solo la consapevolezza può renderla lucida. Non avrei mai scritto una biografia, neppure in chiave poetica, Non avrei, in questo modo, reso omaggio alla sensibilità dell'artista ma, piuttosto, sarei finito a rendicontare una serie di vicende in base alla narrazione altrui (un mero montaggio di scene). Uso a riguardo le parole che mi ha scritto uno splendido musicista e amico, Luciano Troja, evansiano di ferro, amico della famiglia Zindars, (leggi qui l'articolo sul suo fondamentale "At home with Earl Zindars) per definire il percorso che ha portato a "Bill Evans, a portrait": "ho l'impressione che stai affrontando la persona di Bill Evans come un grande musicista affronterebbe un sincero omaggio alla sua musica: cioè attraverso la propria." Al di là dell'affettuosa opinione che mi rende orgoglioso, Luciano definisce con chiarezza il metodo e l'approccio usato.

Evans viene preso in cura dai medici del Mount Sinai, sparisce alla vista di Laurie che non lo vedrà più. In "Bill Evans a portrait", Bill farà la sua ultima passeggiata in un eterno tramonto (per questo il colore dorato che vedete nelle tavole), congedandosi da sé stesso e dalle persone che lo hanno accompagnato in questo viaggio, per poi ricongiungersi al suo destino, per certi versi come il Gesù di Martin Scorsese ne “L'ultima tentazione di Cristo”. Ma Bill non è un Cristo che immagini di evitare l’amaro calice del martirio. Bill è, piuttosto, uno degli angeli de “Il Cielo sopra Berlino”. Il suo percorso, al contrario di Damiel, è un’ascesa, dalla terra al Cielo. Una liberazione per giungere al satori che lo ponga in condizione inscindibile con l’Assoluto. Emerge, dunque, saldo il rapporto tra passione (la musica) e martirio (il disfacimento fisico auto-indotto). Per questo chi voglia comporre una libera interpretazione, un atto d'amore nei confronti dell'uomo e del musicista, deve partire dalla passio e dal martirio per poi giungere all'ascesi.
La vita, in fondo, per quanto ispiratrice, è un ostacolo al libero fluire della musica, vero ponte che conduce dall'anima all'eterno. Bill entra, quindi, al Mount Sinai Hospital, ma ne esce subito dopo da un’uscita secondaria per ricongiungersi alla sua stessa vita, sublimandola e da li, al tutto.

Mancano tre capitoli da scrivere per concludere la storia ma ormai ha già preso autonoma forma e le splendide tavole disegnate da Valerio Pastore che vedete in anteprima hanno piena sensibilità nel rendere ai tratti e ai gesti la gentilezza, la bellezza intima di Bill Evans.
Nei primi due capitoli di cui vi ho appena accennato ha luogo anche l’incontro con Harry Evans, il fratello, morto suicida due anni prima. Harry era come lui un musicista jazz, insegnante a Baton Rouge in Louisiana. I due furono sempre molto uniti, dai tempi del college per quanto fisicamente e caratterialmente profondamente diversi. C’è uno splendido documentario ("The creative process and self teaching") che li ritrae insieme. Addirittura Harry intervista Bill e gli consente di chiarire concetti fondamentali intorno alla sua musica. Il rapporto tra i due sarà inscindibile e i periodi trascorsi a Baton Rouge con la famiglia di Harry saranno per Bill un sollievo. “Waltz for Debby” è una composizione che Evans dedica alla nipotina all'epoca di appena 3 anni, ma soprattutto Bill pubblicherà un album, “We will meet again”, alla morte del fratello e nelle sue disposizioni testamentarie volle essere sepolto a Baton Rouge accanto a lui.
Nella graphic novel “Bill Evans, a portrait” Harry è una sorta di Virgilio che accompagnerà il fratello in questa ascensione. Lo aiuterà a entrare nel vortice della bellezza, liberandosi da tutto il resto. A proposito di bellezza, vi invito ad ascoltare la seguente playlist in cui ho raccolto tutti i brani che hanno ispirato i 13 capitoli di "Bill Evans, a portrait". To be continued..
Besos
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