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Jimmy Cobb, l'ultimo "Kind of Blue"

In questi mesi sto lavorando sulla figura di Bill Evans e, cercando un inizio significativo del suo percorso artistico, è evidente come non abbia potuto prescindere da Kind of Blue di Miles Davis, anno 1959. Dei 6 artisti che hanno dato vita a questo fondamentale progetto, l'ultimo, Jimmy Cobb, è scomparso lo scorso 24 maggio.
Quando ho letto della sua morte sulla newsfeed di Facebook, non sono corso a mettere la puntina sul disco. In questa epoca liquida, dove niente ha radici, ho semplicemente cercato col pollice l'app Spotify e digitato "Kind of Blue". 5 tracce. La musica ha risuonato e con essa i ricordi, persino quelli altrui e certe fantasie.
Kind of Blue, a prescindere da cosa abbia significato per la storia del jazz è un modo d'essere. Non è spirito, quanto l'essenza di uno sguardo alla vita, dentro la vita. Sono 6 artisti di cui 3 giganti. E' un disco di ispirazione e concretizzazione. Non un sasso contro una vetrina, ma uno spazio occupato, per sempre, una stella luminosa, un'opera con cui ognuno occorre faccia i conti, non tanto per rendere omaggio al jazz quanto alla propria stessa vita.
Per la storia del jazz, Kind of Blue è il disco che ha imposto il jazz stesso come fenomeno culturale e di successo. Registrato in due sessioni sulla 30° strada a New York, negli studi della Columbia Records (casa discografica a cui Miles resterà legato per 30 anni fino al 1985 quando passò alla Warner Music). Il 2 marzo del 1959 furono incise le tracce di So What, Freddie Freeloader e Blue in green (composizione di Bill Evans), mentre il 22 aprile Flamenco Sketches e All Blues. In quello studio di registrazione entrarono Miles Davis, tromba e autore del progetto, Julian "Cannonball" Adderley , sax contralto, ad eccezione di Blue in Green, John Coltrane , sax tenore, Wynton Kelly, pianoforte, soltanto in Freddie Freeloader, Bill Evans, pianoforte, Paul Chambers, contrabbasso, Jimmy Cobb, batteria.
Ci entrarono ognuno portando appresso una consapevolezza diversa. Entrarono 3 giganti in stato di grazia, 3 giganti per vari motivi ad un punto di svolta e per cui niente sarebbe più stato come prima. Miles Davis era già figura di riferimento. Aveva suonato con Charlie Parker, formato gruppi di cui assunse la leadership con musicisti di rilievo . Da tempo conduceva un sodalizio artistico con Gil Evans (da cui era nato Miles Ahead del '57 ), era introdotto negli ambienti esistenzialisti francesi, aveva amato Juliette Greco e alla fine della loro storia iniziato un devastante rapporto con l'eroina da cui nel '54 riusci (momentaneamente) a scampare. Aveva musicato con la tecnica della composizione istantanea lo splendido "Ascensore per il patibolo" di Louis Malle e maturato una propria idea musicale culminata in Milestone del '58 in cui esprime un'improvvisazione melodica, nuova per il tempo.
Miles dichiara «Ai tempi del bebop, tutti suonavano velocissimi. Ma a me non è mai piaciuto suonare tutte quelle scale su e giù. Ho sempre cercato di suonare le note più importanti di ogni accordo, per sottolinearle. Sentivo gli altri musicisti suonare tutte quelle scale e quelle note, e mai niente che valesse la pena di ricordare.» Insomma era Miles Davis senza ancora esserlo e in questo suo complesso spettro di qualità e esperienze aveva maturato un dono: sapeva riconoscere con raro talento i germogli più interessanti che fossero nuovi spunti creativi o artisti in fiore. Così accadde con John Coltrane, ma, soprattutto, con Bill Evans.
Personalmente ho 3 riferimenti affettivi e culturali nel jazz: Miles Davis, John Coltrane, Bill Evans. Non è un caso che siano tutti e tre presenti nello stesso immenso disco. Miles cercava di concretizzare quell'idea nuova che avvertiva nell'aria, mentre Bill Evans non sapeva ancora di esserlo. Miles Davis dichiarò negli anni '80 che Kind of Blue era nato ascoltando Bill Evans suonarlo. Lo stile cristallino del pianista incise sul modo stesso con cui Miles Davis interpretò il proprio strumento durante le due sessioni di studio. Bill Evans era la musica, l'essenza giunta in sala d'incisione e Miles, aperto all'ascolto, al riconoscere il genio altrui, lo comprese e utilizzò. Si trovava davanti qualcosa che probabilmente lui stesso, il grande, geniale, Davis, sentiva di non possedere. Qualcosa che poteva persino assumere una forma distruttiva, ma talmente potente da divenire propulsore in grado di concorrere a spingere insieme alla forza e alla lucidità di Davis questo disco sulla luna. Ciò, nonostante Bill si sentisse inadeguato di fronte a tanto talento, come ebbe modo lui stesso in seguito di dichiarare. Bill Evans, infatti, si renderà conto di essere Bill Evans dopo Miles Davis, formando il suo storico trio con Scott LaFaro e Paul Motian.
Per John Coltrane la faccenda andò diversamente. Anche lui aveva avuto drammatici problemi di droga. Miles, però, lo conosceva bene. Lo aveva ripreso nella band l'anno precedente in uno dei suoi alti, certo meno frequenti dei bassi. Si erano conosciuti nel '55 quando Philly Joe Jones lo aveva convinto a provarlo dopo l'abbandono di Sonny Rollins.
Coltrane stava per entrare nell'anno della propria svolta artistica. Nel 1959 incise sette dischi tra cui Kind of Blue e Giant Steps. Quel balzo del gigante gli riuscì definitivamente, soprattutto proprio nel secondo disco, avviandolo a My Favourite Things e, soprattutto a A Love Supreme. fino al puro spirito di Ascension. Il '59 è l'anno in cui Coltrane comincia a capire la direzione. Si tratta di una salita verso l'empireo, un'essenza trascendentale che eleva la sua musica sino a vette davvero inesplorate e allo stesso free jazz.
E Jimmy Cobb che ci faceva in mezzo a questi 3 geni? Il suo stile preciso, curato erano parte di quel mood fondamentale alla riuscita del disco. Era il cesello per giungere agli equilibri così plasticamente evidenti in Kind of Blue. Aveva già suonato con Cannonball Adderley (4 dischi fino al '59). e con John Coltrane con cui suonerà anche nel citato Giant Steps. All'epoca si trattava di un musicista trentenne come lo stesso Bill Evans (Miles Davis e John Coltrane erano di 3 anni più vecchi) e per lui arriva la svolta. Entra nella storia come capita non tanto ai più fortunati o ai portatori di straordinario, irripetibile talento, quanto al professionista che sappia cosa fare, come e quando. Si rende conto immediatamente di quel che sta accadendo, tanto da dichiarare nelle note di copertina : «Questo album dev'essere stato fatto in paradiso.». In realtà questo disco fu fatto sulla terra, a New York, nel momento esatto in cui doveva essere prodotto, grazie all'idea, alla disponibilità all'ascolto, alla sensibilità di Miles Davis e alla maturazione miracolosamente contemporanea del talento di artisti fondamentali per la storia del jazz, nonché al prezioso lavoro di tutti quanti vi collaborarono, compresa la produzione di Teo Macero. Nel 1992 il disco vincerà il Grammy Hall of Fame Award. Nel 2003 la rivista musicale Rolling Stone, nella sua classifica sui 500 migliori album di ogni tempo, indicò Kind of Blue al 12º posto.
Ognuno di noi, infine, ognuno di quanti abbiano la fortuna di amare il jazz ricorderà quando e perché ha ascoltato per la prima volta questo disco. A me capitò a lezione di sax contralto (era da poco passato in secondo piano il mio antico amore per la new wave e certi gruppi della scena dark inglese). Del jazz conoscevo di fatto solo Charlie Parker, oltretutto in modo confuso e velleitario. Chiesi, quindi, al mio insegnante cosa secondo lui avrei dovuto ascoltare. "Conosci "Kind of Blue"?" Alla mia espressione titubante, fece una smorfia che istintivamente paragonai al non conoscere la Torta Sacher per Nanni Moretti. Avevano ragione entrambi: mi stavo perdendo ciò che in un modo o nell'altro avrebbe segnato la mia vita, Sacher compresa.
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