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I Sotterranei del Jazz
Romanzi e film ricordati a caso e ispirati dal jazz.

Più o meno è come quando apri il frigo per cucinare. I discorsi e le idee si formano allo stesso modo, con gli ingredienti che hai a disposizione, con quelli che ti vanno in quel preciso momento. Per questo occorre una premessa: il mio approvvigionamento culturale sin qui stato cialtrone e disordinato, pop e ricercato, incostante, pigro e onnivoro, persino smemorato. Così sono nati dei piatti per caso, una cucina fatta di conversazioni e scritti che somiglia tanto alla mia vita, apparentemente libera e al centro di ogni possibilità, quanto in realtà limitata da quel che c'è, quando c'è.
Per questo ieri sera mentre guardavo sul tablet "Paris Blues" del 1961 con Paul Newman e Joan Woodward di Martin Ritt (quello de "La lunga estate calda" girato 3 anni prima con la stessa coppia sul set e nella vita) mi sono chiesto se avesse a che fare con il romanzo "I Sotterranei" di Jack Kerouac che mi affiancava sul comodino o con "Casse-pipe" il libro più jazz di Louis Ferdinad Celine o, persino, con "La, La, Land" di Damien Chazelle. del 2016 che pareva aver aperto una stagione di interesse riguardo il jazz (stagione che, in realtà, non è mai nata, restando musica di nicchia al quadrato), ma soprattutto con gli "Aristogatti" del 1970 di zio Walt Disney che da piccolo mi insegnò che c'erano una musica e una città da amare. Poi mi sono rammentato di "'Round Midnight" del 1986 di Bertrand Tavernier, vincitore dell'Oscar per la miglior colonna sonora grazie al lavoro di Herbie Hancock e ispirato alla vita di Lester Young e Bud Powel, recitato dal grande "gattone" Dexter Gordon e del lungometraggio "Bird", omaggio di Clint Eastwood a Charlie "Bird" Parker, idolo delle folle Bop e Beat. Entrambi film che ho molto amato. Per tutto ciò sono arrivato a scrivere "Chiedi a Coltrane" edito da Emersioni, il mio romanzo in uscita ad aprile. Di che parla? E' un romanzo sul senso e il non senso dell’amore, sul jazz e i fantasmi che ci accompagnano da sempre senza che ce ne rendiamo conto. Per la sinossi ne riparliamo quando saremo più vicini all'uscita. Le markette vanno fatte al momento giusto.
Stavo dicendo? Ah, sì, a dire la verità, ieri sera mi sono chiesto anche un paio di altre cose, ovvero se io sia più "hard" o "free" piuttosto che "cool", nel senso che la maggior parte di noi si sente più hard e free perché vorrebbe esserlo, ma poi lo è davvero e, soprattutto, vuole davvero esserlo? E ancora: occorre essere egoisti, dolenti e solitari per fare arte o meglio farsi una famiglia, accettare qualche chilo di compromessi e divenire dopolavoristi della creatività?
Andiamo con ordine. Va bene essere cialtroni, ma occorre un po' di rispetto per chi legge. Iniziamo da "Paris Blues", un filmetto in cui splende Joan Woodward, perfettamente a suo agio col proprio amante in una Parigi anni '60 arrampicata sopra i tetti di ardesia. Il jazz che il trombonista Ram Bowen (il personaggio interpretato da Newman ) suona insieme all'amico sassofonista (Sidney Poitier) fu arrangiato da Duke Ellington, per cui melodico, ironico ma non certo inquieto come vorrebbe il personaggio. Non basta neppure il "broncetto" sempre identico a sé stesso di un Newman che, a parte non sentire il personaggio, è naturalmente luminoso. Restano in ogni caso il piano sequenza iniziale che, partendo dai tetti parigini all'alba giunge sino alle porte del club, l'aria di festa e i personaggi che popolano il locale, Louis Armstrong che dà vita ad una splendida jam session e la battuta di Newman che alla considerazione di un'amica: "Per te l'amore sembra soltanto un passatempo" risponde: "Caschi male bambina, per me è davvero tutto lì".
Ieri sera ho pensato che il jazz al cinema ha sempre vissuto fortune alterne. Lo si è usato per il profilo tenebroso, per gli eccessi dei suoi adepti, ma difficilmente considerandolo come struttura di pensiero oltre che cifra musicale. Lo stesso "La La Land" parla di jazz, usandolo. Non è jazz ciò che suona Ryan Gosling, ma calco di atmosfere ad esso ispirate per costruire un musical in puro stile anni '50 e '60, quando al cinema, appunto il jazz era ridotto a pretesto narrativo. Eppure anche in La La Land come in Paris Blues si ripropone l'archetipo arte come solitudine, come scommessa unica e totalizzante. Il concetto pare inappuntabile, ma poi penso a Carlo Emilio Gadda, ingegnere, e alla sua vita vissuta a casa di mamma e mi dico che più che archetipo potrebbe essere un luogo comune. Penso a generazione di jazzisti che per campare hanno fatto qualsiasi lavoro, in America come in Europa. Restiamo, quindi, alla logica: anche se sei artista devi campare, per campare occorre guadagnare e i soldi, tranne in rari casi, te li danno per fare merda o routine che non ha a che fare con l'arte ma con l'impegno quotidiano. Se vivi solo di arte, dunque, è possibile tu produca anche in assenza di ispirazione per denaro con cui pagare affitti, mutui, vino alcol, tisane e droghe, mentre se sei un dopolavorista della creatività crei solo ciò che ritieni essenziale, ma non hai tempo per curarlo. Che brutta cosa.. In ogni caso per quanto mi riguarda al bivio ho scelto la seconda, perché costretto e perché so che i sogni sono carogne e puntano spesso a sottrarti la libertà di scegliere. E' banale, ma tutto ciò che è totalizzante ti vuole esclusivamente per sé, creando una innaturale separazione tra le diverse personalità che ci costituiscono. Ho fatto bene? Male? E chi lo sa?
Persino a Ram Bowen potrebbe essere andata male dopo il The end, tanto da abbandonare inutilmente Joan Woodward (che, invece, Paul Newman si è sposato). Ma l'arte è piena di abbandoni, come quello di Kerouac ne I Sotterranei ai danni della bella e inquieta Mardou. Non è lui ad andarsene, è vero, ma crea le condizioni della separazione con la propria vita dissoluta. Ma come nel jazz la storia (la melodia), l'abbandono stesso, è un pretesto. Presa la benzedrina (scrisse il romanzo in 3 notti sotto l'effetto del solfato di anfetamina) e infranto l'abituale respiro narrativo Kerouac si produsse in un assolo letterario con prosa velocissima, gergale, a tratti incomprensibile che era Be Bop puro. In una delle più belle scene narrate Jack e Mardou ascoltano proprio Charlie Parker del vivo e sono notati da lui, gran sciamano, che li guarda negli occhi e comprende i loro destini, mentre continua a soffiare nel contralto.
Stesso affare per Celine nel suo addio a Molly in "Viaggio al termine della notte", scena memorabile che leggo ogni volta che intendo farmi un pianto. Ricordo i singhiozzi quando l'ascoltai letta da Baricco 25 anni fa in TV e capii che la solitudine descritta, quella malinconia auto-creata splendida, dolorosa era persino necessaria. A cosa mi riferisco? A questo per l'esattezza (che poi non si dica che le mie opinioni sono per partito preso):
"Buona, ammirevole Molly, vorrei se può ancora leggermi, da un posto che non conosco, che lei sapesse che non sono cambiato per lei, che l'amo ancora e sempre, a modo mio, che lei può venire qui quando vuole a dividere il mio pane e il mio destino furtivo. Se lei non è più bella, ebbene tanto peggio! Ci arrangeremo! Ho conservato tanto della sua bellezza in me, così viva, così calda che ne ho ancora per tutti e due e per me almeno vent'anni ancora, il tempo di arrivare alla fine. Per lasciarla mi ci è voluta proprio della follia, della specie più brutta e fredda. Comunque, ho difeso la mia anima fino ad oggi e se la morte, domani, venisse a prendermi, non sarei, ne sono certo, mai tanto freddo, cialtrone, volgare come gli altri, per quel tanto di gentilezza e di sogno che Molly mi ha regalato nel corso di qualche mese d'America".
Roba sopraffina che non ha a che fare col jazz in quanto fraseggio, ma con lo spirito più intimo della musica.
Ritmo e frasi, invece, sono le architravi di "Casse-pipe", fantastica cavalcata ("tagadam, tagadam", come descrive Celine stesso il rumore dei cavalli dei soldati al galoppo) in una notte piovosa della prima guerra mondiale persi in qualche posto in prima linea dove tutto è un pretesto per fare musica con le parole. Se non lo hai capito da solo, quindi, te lo dico a chiare lettere: per capire cosa sia il jazz in letteratura leggiti "Casse Pipe" e "Viaggio al termine della notte". Per quanto mi riguarda posso dire che soprattutto Casse-pipe sia stato il primo jazz letterario che mi abbia legato al jazz musicale. Non è un caso che lo stesso Kerouac citi più volte Celine ne I Sotterranei, rendendogli omaggio. Lo stesso intimo sentire, la necessità dell'abbandono, la dissoluzione in nome della propria debolezza e dell'arte, sorta di fiore carnivoro, sono nel jazz cinematografico e biografico descritto da Tavernier e Eastwood. Film splendidi, onesti, ancora brillanti come tutti i classici. Potrei citare anche delle graphic novel come il bellissimo "Coltrane" di Paolo Parisi cui sono particolarmente legato edito da Black Velvet o le fotografie di Richard Sexton (su tutte un ritratto di un giovane Dexter Gordon, visibile solo per metà) ma il discorso si farebbe davvero lungo.
Resta da chiarire una cosa: sono cool o hard? Non lo so. So che questo post è entrambe le cose, un po' torrentizio e un po' riflessivo. So che sono come il jazz, nota alta, nota bassa, senza la necessità di un limite o di un inutile partito preso. Sono come il mio frigo, dove c'è un sacco di roba diversa e di volta in volta prendo e cucino quel che mi va.
Se ti è piaciuto questo articolo leggi anche Il viaggio di Pieranunzi e Chet Baker.
Se, invece, in attesa del mio romanzo "Chiedi a Coltrane" vuoi ascoltare la playlist dei brani a cui è ispirata la narrazione clicca qui.