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Jazz o entertainment?
Performance del trio guidato dal pianista danese Carsten Dahl nella famosa Jazzhus Montmartre di Copenaghen

Pasolini sosteneva che se di un personaggio non conosci che lavoro faccia e se abbia soldi oppure no la storia non esiste. Neppure questa recensione avrebbe senso se non ti dicessi che il concerto del trio Carsten Dahl Trinity ha avuto luogo nella rinomata Jazzhus Montmartre di Copenaghen (recentemente vi hanno suonato Kenny Barron, Lee Konitz, Rava, Bollani, etc, etc,) e che il biglietto costava 300 corone danesi, tempestate di maledizioni dato che 40 € non li ho spesi neppure per andare a vedere David Murray alla Unipol Arena a Bologna (leggi la recensione del concerto) o John Patitucci e Chris McBride a Orvieto all'Umbria Jazz Winter, o, meglio ancora Uri Caine e Dave Douglas all'Auditorium Rai al Torino Jazz Festival.
Perché dico questo? Devi sapere che il costo del biglietto determina il pubblico (ben vestito, canuto, danese e incline al censo più che all'arte) e di conseguenza la performance. Ricordo un concerto insopportabile di Stefano Bollani alla Versiliana due anni or sono, in cui si dedicò a intrattenere prima che a suonare. Lo stesso Bollani lo avevo, invece, ascoltato qualche tempo prima pochi chilometri più a nord, nel chiostro della chiesa di Santa Maria Assunta e San Francesco a Vittoria Apuana e aveva suonato divinamente. Come mai? Perché al pubblico della Versiliana non fregava niente del jazz. Volevano il personaggio televisivo e Bollani fu come loro vollero. Possibile, oltretutto, che alla Versiliana abbia guadagnato multipli di quanto percepito nel piccolo chiostro.
Lungo preambolo per inquadrare il contesto, perché i dettagli spingono in una direzione piuttosto che in un'altra. Carsten Dahl è un classe '67, insegna al conservatorio di Copenaghen, pianista danese tra i più in vista della scuola "Norden". Ha iniziato suonando la batteria, sviluppando così uno stile percussivo. In realtà l'elemento più evidente è la sua inclinazione per la tradizione, da Cole Porter, a Bill Evans, Harold Arlen fino a Vivaldi o Bach. Ciò non gli ha precluso di fare anche incisioni free. Condivido l'approccio filosofico che applica al jazz ( "Penso, per esempio, che Thelonious Monk sia stato un pensatore. Ma anche gente come Miles Davis e John Coltrane, per altri versi. Sono stati capaci, in differenti momenti, di esprimere qualcosa di più grande rispetto al tessuto culturale e sociale del periodo: hanno espresso concetti universali." intervista a Carsten Dahl, Musica Jazz). Ieri sera, 22 marzo 2019, si è presentato al pubblico col suo più recente trio formato da Nils Bosse Davidsen al basso e Stefan Pasborg alla batteria, entrambi danish. Per quanto riguarda questi ultimi da annotare la personalità e il talento di Pasborg che non si è limitato ad accompagnare Dahl, quanto a fargli da autonomo controcanto, spingendolo spesso ad andare oltre grazie alla propria inventiva.
Ok, il contesto e gli altri musicisti determinano la performance. Il resto dipende dal carattere dell'artista, perché la soglia tra entertainment e jazz è sottile. Qual è la differenza tra l'uno e l'altro? Direi che nel jazz si suona sempre per il pubblico, ma mai per compiacerlo. Quando quest'ultimo elemento prevale ecco che non si tratta più di jazz, ma di enterteinment. Dahl ha il suo carattere. E' piacente (ritratto nella foto di questo post, macchiato di colore perché si diletta anche di pittura), consapevole e ironico. Un istrione che sa di avere le leve per condurre dalla propria parte l'interlocutore. Ciò se se ne abusa si rivela un limite, poiché la seduzione nel jazz deve essere un se ducere, ovvero condurre a sé, e non, viceversa, darsi al pubblico.
Ieri sera ho ascoltato una bellissima versione di Autumn Leaves, sbranata e ricomposta essenzialmente da Dahl e Pasborg, rilanciandosene il cadavere come jene creative a ogni passaggio, ma ho sentito anche ritornelli orientaleggianti a buon mercato che hanno eccitato alcune donne in platea o brani fatti apposta per uggiolanti fan (chiudere con Over the rainbow è stato darsi in pasto alla canea prostatica). Voler piacere è, dunque, una brutta malattia, tanto quanto non voler piacere affatto e ciò è la sottile linea che separa il jazz da tutto il resto. Jazz che come dice Dahl non è solo musica, ma filosofia di vita. Mi tengo, quindi, la grande versione di Autumn Leaves e diversi passaggi dell'esecuzione di Be my love (stavolta anche grazie al prezioso apporto di Bosse Davidsen, per una volta più autonomo rispetto alle invenzioni di Dahl), mentre restituisco cortesemente alla guardarobiera il resto.
Ascolta Carsten Dahl su Spotify , la sua parte migliore dato che è un musicista assai dotato e rappresentativo della scuola Norden. In questo progetto il suo stile si fa notevolmente più asciutto.
Se ti è piaciuto l'articolo e ascolti jazz ti consiglio di leggere anche il post su Ambrose Akinmusire, nuova interessante stella del jazz americano.
Se, inoltre, sei un buon lettore (questo è un blog di book & jazz) leggi il mio recente post che parla di audiolibro sì o no, Storytel o Audible?