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"Fyah", Theon Cross: le fiamme del jazz torneranno a farci danzare?


Fyah significa fuoco in giamaicano. Mentre ascoltavo il progetto di Theon Cross ho pensato al libro "La nostra casa brucia" di Greta Thumberg. Nelle prime pagine Greta spiega che se la tua dimora va in fiamme reagisci grazie al panico, perché è la crisi a spingerti oltre, a costringerti a reagire, facendoti fare cose che nemmeno avresti immaginato. La musica in generale ha bisogno di cadute per evolvere, per spingersi avanti dopo decenni di stasi e povertà assoluta. "Fyah", il bel lavoro di Theon Cross, si conclude proprio con "LDN's burning", ultimo degli 8 brani, una constatazione di quanto l'incendio sia ormai ovunque. Per questo ho pensato si trattasse di una vera e propria ribellione, un sovvertimento dell'ordine prestabilito. Mi sbagliavo. La crisi genera fiamme, coinvolgendo tra gli altri i giovani londinesi (LDN = London), ma non tutti i bagliori rivelano i fuochi della rivoluzione. Resta il fatto che siamo di fronte ad una crisi essenzialmente di relazione con noi stessi, con i nostri valori e, quindi, con l'arte.


Ci sono persone oscure e oscuri strumenti musicali destinati a restare ai margini. Ci sono i margini stessi che poco hanno a che vedere col consumo, con le offerte ("The offerings", altro bel brano del progetto)., con ill cosiddetto mainstream. Chi sceglie la tuba da ragazzo ha una certa indole, non credo che su questo si possa discutere. Chi pretende per la propria carriera il jazz se ne frega dei mass media, dei soldi. Theon Cross carica sulle spalle la tuba e in "Activate", libera la potente batteria di Moses Boyd quasi si trattasse di una arma pesante. Il sassofono tenore di Nubya Garcia è incline alle reiterazioni per poi impennarsi acuto, lancinante in aliene divagazioni.


Fiammate, quindi, il registro si allenta. In "Radiation", la caligine sembra diradarsi. Il trio ha una radice solare a cui non può e non vuole derogare. Non indicano la strada per un radicale cambiamento, quanto piuttosto meticciano il genere, così come loro stessi sono. Batteria e tuba si allineano a sostegno del sax. La profondità lirica di Ambrose Akinmusire in Origami harvest è irraggiungibile o, piuttosto, nemmeno cercata. La stessa "Letting go" è costruita più nella sottigliezza dei rimandi tra tuba e batteria con il sax relegato spesso a eco lontano. "Lasciarsi andare", fino a che il sax non riassuma la guida reiterando il riff, raddoppiandosi in un crescendo di tutti gli artisti. In "Candace of Meroe" siamo dentro uno stridulo afro-caraibico beat, grazie alla batteria e alla chitarra di Artie Zaitz. In "Panda Village" emerge una sorta di piccola liturgia che sfuma e riprende aumentando di ritmo, reiterando sé stessa al'infinito, calda. "CIYA" è addirittura melodica (features guests Wayne Francis al sassofono tenore, Artie Zaitz alla chitarra elettrica e il fratello di Cross, Nathaniel Cross, al trombone). Francis, sotto il nome di Ahnanse, è lo spirito guida del collettivo Steam Down nel sud di Londra, i cui eventi del mercoledì sera al Buster Mantis, un bar,- ristorante e uno spazio per le esibizioni sotto la stazione ferroviaria di Deptford, sono i punti caldi del nuovo circuito jazz londinese. Steam Down sta riportando il jazz alle sue origini come musica per ballare. Questa è la vera novità! e Cross è un membro del collettivo..


Theon Cross non scopre con la sua musica nuovi territori, ma ha essenzialmente i seguenti meriti:

a) consente al jazz di finire dentro le playlist di giovani indie (il jazz non può essere solo per una elite pena l'estinzione), interpretando le inquietudini della suburbia e mitigandole con le proprie radici caraibiche;

b) ha ridato alla tuba una centralità che andava smarrendosi;

c) non svende il jazz al clubbing ma lo rielabora con mano ferma.


Tutta la nuova generazione londinese ha spinto forte sulle potenzialità del jazz e per questo non possiamo che essergli grati. In mezzo ci sono finiti musicisti di varia estrazione e sensibilità (clubbing, jazz trap, etc). Theon Cross è, dunque, tra le figure più autentiche, ma. del suo approccio al jazz dice lui stesso::

"Rispetto la tradizione jazzistica e mi nutro di essa nel modo in cui improvviso. Ma quando ho formato [il trio ho iniziato a pensare, e se usassi dei ritmi dancehall? Perché quella era la musica con cui sono cresciuto. Mio padre è giamaicano, mia madre è di Saint Lucian. Abbiamo iniziato tutti a portare nella musica quelle cose che hanno formato la nostra identità di neri britannici."


La stampa ne parla molto bene (“Un giovane talento prodigioso”, New York Times – “Incredibile!”, Gilles Peterson – Theon Cross sta riportando la tuba al centro del jazz”, Rolling Stone) e l'inconsueto trio batteria, sassofono tenore, tuba lo protegge da banalità in cui talvolta può incorrere. Ha collaborato tra gli altri con Makaya Mcraven, gli idolatrati Sons of Kemet di Shabaka Hutchings. Il suo trio è stabilmente formato da Nubya Garcia (in solo e in pianta stabile nello spiritual jazz septet Maisha) e Moses Boyd. (Boyd è co-leader del duo Binker and Moses) La band ha pubblicato un EP nel 2015 e l'album in studio "Fyah".


La casa brucia e per questo occorre rifondare i paradigmi se non vogliamo che il jazz resti il ricordo del passato. Alcuni progetti, come nel caso di "Fyah" sono aggiornamenti, riletture, sebbene con una grande latente novità. Una novità che ha a che vedere con le origini del jazz stesso, con la fame che hanno i collettivi londinesi come lo Steam Down di coinvolgere i ragazzi. La domanda è, dunque: e se le fiamme del jazz potessero tornare a farci danzare? Una sorta di versione diluita, di entry level che consenta a generazione di musicisti e ragazzi di abbeverarsi, guadagnare qualche soldo per poi ne caso evolvere a vette più elevate. E perché no? Già lo stesso Theon Cross è un vero jazzman tra quanti sono cresciuti nei club, Altri ne possono crescere e dal basso arrivare finalmente una rivoluzione.


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Besos





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