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Del Negroni e altre notti
Aggiornamento: 21 ott 2018
I barman sono tutti animali della notte, ma appartengono a specie diverse. Dipende essenzialmente da ciò che hanno vissuto. Alcuni di loro sono inquiete creature notturne, altro lo sono diventati loro malgrado (sorta di vecchi dark dal trucco bistrato), altri ancora dei punk delusi dalla vita o tizi con l'ukulele che pensano solo a divertirsi.
Tra le diverse specie occorre riconoscere non tanto chi ha sofferto per amore (tutti), ma ciò che ne hanno tratto. E' colpa del mestiere che un barman soffra o abbia fatto soffrire per amore. La differenza di fuso orario con la vita normale lo rende una conseguenza. Si potrebbe dire che la vita stabile abiti un meridiano, mentre la solitudine un altro e non esistono voli della notte che vi consentano di fare il pendolare tra i due continenti.
Le sofferenze d'amore, pertanto, possono indurre il barman a prendere due strade: proteggere il cliente, imbrigliando la potenza distruttiva dell'alcol oppure portarlo dall'altra parte della notte, farlo salire sul bastimento dei dannati dei quali lui stesso è il nostromo.
Faccio un esempio, così ci capiamo. Tommaso Paoli è il mio preferito tra i barman fiorentini. Gestisce l'Oibò nella gotica Piazza Santa Croce. Lui è la mia guida nell'universo della notte. Conosce tutti, tutti lo rispettano. Tiene all'ordine del locale, gestisce i suoi uomini come una milizia spagnola reclutata dai sindacati comunisti all'epoca della Guerra Civile spagnola. Chi lavora con lui lo segue perché si fida. Mette le sveglie in cucina così che ogni mezz'ora qualcuno vada a dare un'occhiata ai bagni. Tiene sotto controllo ogni dettaglio anche mentre ride e scherza (l'occhio febbrile non si distrae mai) e istruisce sovente il suo uomo fuori dal locale perché tutto fili liscio. Ha un'indole nomade. Viaggia il mondo alla ricerca del vino perfetto (quello che un giorno lui stesso produrrà) o del più grande tra gli alambicchi in rame, capace di distillare il migliore tra i whisky dello Speyside, dal malto pulito, fruttato, con sentori di miele e vaniglia. Non è soltanto palato e conoscenza; è ascolto e protezione, due virtù indissolubili. Sono affari suoi di come sia arrivato a essere ciò che è, dei percorsi e degli incidenti che lo abbiano condotto fin qui, ma so che quando arrivo al bancone sa leggere la vita passata e presente che mi è fluita intorno e consigliarmi, accogliermi. Questa è intelligenza, è filosofia concreta, non chimica, è eroico utilizzo dei super-poteri per salvare il mondo. Un Super Barman (non un qualsiasi Batman di un'inesistente Gotham City) e quando mette mano a un old fashioned per comporre il Negroni non guarda il bicchiere, osserva te. Può adoperare un London Dry Gin, asciutto, squadrato, un Ki No Bi Kyoto Dry Gin giapponese dal retrogusto di riso che occorre bilanciare con un vermouth come il Carpano Antica Formula . L'equilibrio è la sua religione e la ciurma che lavora per lui sa che è un comandante giusto e che, soprattutto, non è il nostromo della nave dei dannati.
Poi ci sono gli autodistruttivi dotati magari di grandi qualità, ma che sono stati morsi al collo dai vampiri della notte. Si tratta di gente solitamente in fuga dalla propria ombra, cani che sollevano la polvere nel disperato tentativo di mordere la loro stessa coda. A luglio ne sono andato a trovare uno insieme a un amico nel suo nuovo locale all'aperto. Un bravo ragazzo molto dotato, un personaggio della notte. Dopo l'ennesimo litigio era finito in un posto buono per l'estate, non un vero e proprio locale. La location lungo fiume era costruita essenzialmente per fare grana con bicchieri di plastica e bottiglie qualsiasi, il tizio, dopo averci accolto, si guardò intorno imbarazzato. Cercava come stupirci, pur non avendo munizioni. Avrei dovuto saperlo: era passato nella schiera dei dannati, coloro che rivolgono lo sguardo essenzialmente agli scaffali e mai a chi hanno di fronte. Prese una zuppiera nella quale aveva spremuto ciliege, vodka e soprattutto doveva aver aggiunto molto zucchero. Utilizzò il composto al posto del vermouth e il negroni che ci offrì, per quanto gradevole era una serpe. Si introdusse nelle nostre viscere, silenzioso, solo qualche sorda punta di fuoco alla bocca dello stomaco, borbottii al posto del suadente sussurro, ma niente che potesse lì per lì allarmarci. E' vero che avevamo già bevuto un paio di bicchieri, ma niente a che vedere con quanto abitualmente consumiamo in una serata. La serpe ci trascinò lontani dal vociare sul prato, incoraggiati dalla nostra stessa ebbrezza, facendoci finire oltre una siepe a vomitare. Fumare sigari dopo non fu piacevole. Ponete attenzione, dunque, ai nostromi del bastimento della notte, loro stessi anime dannate. Il bere è un'altra cosa. Dovrebbe suonare tipo You can depend on me, come la interpretava Lester Young, un misto di malinconia e di ".. sì, sì, lo so, baby, il mondo è sbagliato, ma stasera non preoccuparti.. Fidati di me.." e quando non è così sono solo note stonate.
Per capirne di più sul negroni leggete "Negroni cocktail - una leggenda italiana" di Luca Picchi pubblicato da Giunti. Se volete farvi da soli un negroni, qualche consiglio: usate il ghiaccio solo per raffreddare il bicchiere (muovendolo con un cucchiaio o, se siete raffinati col barspoon ), così da non diluire inutilmente e avere il tempo per conversare. Compratevi uno shaker e uno strainer (un banale colino), un jigger e divertitevi a sperimentare.
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