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Jazz in grande, Jazz in piccolo
Aggiornamento: 21 set 2019
Sul palco dell’Unipol Auditorium David Murray con la Tower Jazz Composers Orchestra e un grande Piero Bittolo Bon per il Bologna Jazz Festival
Prima avvertenza: Unipol Arena non è Unipol Auditorium. Entrambi sono a Bologna, tutti e due contengono persone disposte ad ascoltare musica, ma sono luoghi diversi. Lo dico perché a me è capitato nell'ambito del Bologna Jazz Festival 2018 di giungere all'enorme Unipol Arena un quarto d'ora prima del concerto di David Murray insieme alla Tower Jazz Composer Orchestra (la jazz orchestra del Torrione, storico Jazz Club di Ferrara) e comprendere dal buio più assoluto e dal deserto che vi regnava di avere sbagliato posto. Fortunatamente a Bologna il traffico non è un problema, il parcheggio neppure (non lo è mai quando vai ad ascoltare jazz), per cui sono arrivato ugualmente in tempo e ho goduto di un'acustica perfetta (magari quella dell'Arena non sarebbe stata peggio).
Seconda avvertenza: a me non piacciono le grandi orchestre jazz, anzi, non mi piacciono proprio le orchestre in generale. C'è chi le considera la massima espressione della libertà, perché in qualsiasi momento possono diventare un trio, un quintetto, un assolo o suonare all'unisono. Per me, invece, la grande orchestra mina il senso stesso del jazz, prevedendo la figura del direttore ed essendo sovente costretta a far suonare ai fiati la stessa partitura. E' un approccio fatto più di pieni (il massiccio suono di una ventina di musicisti), che di vuoti (il vibrare muto dell'ancia, la percussione dei tasti senza fiato, lo scricchiolio del legno di un contrabbasso).
Terza avvertenza: mi sono ammalato nuovamente di John Coltrane. E' accaduto quando ho ascoltato l'inedito Both directions at once, the lost album. Una raccolta di registrazioni del '63 (2 anni prima di incidere Ascension, 4 prima di morire e 2 dopo My Favorite Things). Ciò che mi rapisce della sua musica è l'enorme capacità di dipingere col suono del sax soprano frasi sempre diverse che non atterrano mai e ogni volta ripartono in volo e il tutto con una densità (non una frase, ma cento) sublime. La composizione è materialmente ininterrotta, inappagata, continuamente eccelsa. Dio, insomma, con un ancia tra le labbra.
Quarta avvertenza: nel jazz alla composizione preferisco l'esecuzione, perché quest'ultima, essendo per buona parte frutto di improvvisazione, diventa essa stessa nuova musica. Per capirci, ogni esecutore nel jazz è a suo modo un compositore mentre improvvisa e per questo preferisco che un musicista suoni uno standard alla sua maniera che ascoltare un brano da lui composto. Non tutti i jazzisti nascono, infatti, ottimi compositori, ma certamente devono essere grandi esecutori.
Finite le avvertenze procedo col resto. Ero andato al concerto in programma il 3 novembre al Bologna Jazz Festival 2018 (presso l'Auditorium e non all'Arena) per ascoltare l'esecutore e da questo punto di vista mi sono portato a casa due chicche, ovvero due assoli di David Murray che se vuoi ti faccio ascoltare (clicca su assolo 1 o su assolo 2). Ho, quindi, assistito più che al David Murray musicista al compositore, il che di partenza me ne fregava il giusto.
Ho apprezzato il suo modo afro di suonare il sax tenore, fatto di stridori e potenza, alternato a momenti di trance. Non si tratta mai di frasi fluide. Spesso la sua musica è spezzata, interrotta, con la gamba sinistra che si solleva lateralmente ad ogni passaggio più intenso. L'ho, dunque, apprezzato, non amato, perché il mio cuore ostinato va non solo a Coltrane, ma a un concetto altro di jazz. A questo riguardo non ho registrato purtroppo l'incredibile assolo del sax contralto di Piero Bittolo Bon, essenzialmente perché inatteso a causa della mia ignoranza, facendomi per questo cogliere alla sprovvista. Un suono fluido, non una singola invenzione ma un incredibile continuo, Uno strumento suonato ossessivamente, percosso, senza mai eccedere nell'invenzione fine a sé stessa. Uno stile di cui si avvertiva l'intelligenza, l'ironia, l'autoironia che abbatteva in ogni passaggio l'ego (non i mattoncini) suo e il nostro, costringendoci ad ascoltare, abbandonandoci. La capacità di cogliere i passaggi e in ognuno di essi essere altro e sé stesso, essere pieno e assenza, Come si fa a descrivere l'empatia che si crea di fronte alla bellezza? Come la musica può inventare le parole che mancano al nostro vocabolario per cogliere la realtà e lo spirito? Quando un artista è incredibilmente ispirato diviene alfiere di Dio e il vecchio barbuto era lì l'altra sera. Se la godeva con l'aria di uno che se ne intende, battendo il piede, un po' borioso, di certo orgoglioso del figlio suo. Questo era nell'assolo di Piero Bittolo Bon, dannazione, tutto questo e niente di più.
Molte delle invenzioni di un'orchestra e del jazz in generale richiedono pazienza. Superati i miei opinabili pregiudizi o, più semplicemente, le mie libere convinzioni, ho trovato momenti molto belli, di felice coesione di tutto il gruppo, poi l'eccesso di democrazia propria di un'orchestra, ovvero la necessità di far emergere i singoli che, pur bravi, geni non sono, mi ha talvolta sedato. Il genio se ne frega del concetto di uguaglianza, perché è libertà. Si prende la scena quando deve non per occupare uno spazio, bensì per spingere il mondo un pezzo più avanti incontro alla bellezza. Alla fine applausi e David Murray che è sparito senza un saluto. Applausi miei personali e del Grande Vecchio a Piero Bittolo Bon per quel breve intenso momento di immensa felicità.
David Murray, classe '55, ha collaborato con giganti quali Butch Morris (inventore di uno speciale modo di fare improvvisazione), Jack DeJohnette, McCoy Tyner (il pianista preferito di zio John Coltrane), Elvin Jones (a sua volta il batterista storico di zio) e nel 1980 è stato nominato "musicista del decennio da "The Village Voice". Ha vinto un Guggenheim Fellowship nel 1989, stesso anno in cui ha conquistato il Grammy Award nella categoria "miglior interpretazione jazz strumentale di gruppo". Alla domanda che cos'è il jazz oggi risponde: «È la possibilità di potersi esprimere e pensare liberamente, con o senza un leggio. Una libertà messa in pericolo dall’onda crescente dei musicisti che lavorano col computer. Una scorciatoia per fare un album. Ma quanti di questi sono adatti a comporre qualcosa che meriti di essere incisa? Il cinque per cento, forse».
Bella Bologna, è una di quelle città con cui si sta bene anche senza fare niente, di quelle buone per ambientare un romanzo jazz da leggere assolutamente. Restava, quindi, solo da ritrovare la macchina, pigramente, senza fretta, fumando e facendo a pezzi canticchiando qualche brano musicale appena ascoltato. Riguardo l'aver confuso l'Arena con l'Anfiteatro mi è tornato alla mente il verso di Lucio Dalla in cui dice che a Bologna non si perde neanche un bambino. No, purtroppo, non sono di Berlino.
Se ti è piaciuto il post ti consiglio di leggere la serie di articoli dedicati a 10 dischi da conoscere assolutamente. Inizia da scoprire cosa hanno a che fare Bill Evans e Luciano Troja, rispettivamente con "Explorations" e "At Home with Zindars". Da qui in poi troverai tutti i link che ti serviranno.
Ti consiglio anche il post sul nuovo Blue World, il capolavoro riscoperto di John Coltrane.
Considera, infine, che sei approdato in un blog di libri e jazz. Se ti piacciono i romanzi ti consiglio di leggere anche il post Romanzi ispirati dal jazz oppure "Chiedi a Coltrane e altri romanzi invisibili in libreria" tenendo conto che "Chiedi a Coltrane" è il mio romanzo.
Un romanzo che ho particolarmente amato e recentemente recensito è Tutto quello che è un uomo di David Szalay. Clicca qui per leggere la recensione.