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4,3,2,1 ovvero Paul Auster e altri gamberi
Aggiornamento: 19 gen 2019
Primo: non perdere tempo inutilmente. Ne ho poco e non va sprecato, quindi, niente libri inutili (tantomeno frequentare gente inutile). Secondo: non leggere romanzi troppo lunghi così da appagare la curiosità che spesso è avida. Poi succede che ti imbatti in 4,3,2,1 di Paul Auster e, dato che il primo principio è ampiamente rispettato, decidi di soprassedere riguardo il secondo e affronti 940 pagine.

Perché mi sono avvicinato a questo peso massimo? Non certo perché la trama accennasse a una sorta di sliding doors, ovvero 4 romanzi di altrettante vite possibili concentrate in un'unica opera. (la trovavo, anzi, un'idea banale) Oltretutto da subito mi è risultato impossibile decifrare i numeri di capitoli, paragrafi e, altrettanto, ricondurli alle singole vite (sono un cialtrone, lo ammetto). Mi ha attratto, invece, il nome di Paul Auster che ho sempre avuto simpatico per le sue sopracciglia folte, perché era un bel ragazzo dallo sguardo inquietante, per la narrazione di una New York che conosco solo attraverso l'arte, le scale antincendio, le foto underground in bianco e nero con i tombini che fumano e perché ho molto amato Smoke, film diretto nel 1995 da Wayne Wang e scritto e co-diretto dallo stesso Paul Auster.
Così, per i motivi sopra elencati, assolutamente risibili, ho dato fiducia a questo grave tomo e ho iniziato a leggerlo. All'inizio mi è parso si trattasse essenzialmente di un grande romanzo sull'adolescenza. Un'appassionante, lucida documentazione di un pezzo di vita della quale ognuno ricorda solo confusi brani e mai gli spietati meccanismi che l'hanno costituita e sospinta incontro all'età adulta. Poi si è fatta in me strada l'idea che, al contrario di David Bowie (che con Black Star aveva voluto raccontare il doloroso congedo dalla vita), zio Paul volesse, invece, scrivere la propria monumentale vivida autobiografia descrivendo il periodo in cui tutto poteva essere. Qual è in effetti il tempo della massima potenzialità per ognuno di noi se non l'adolescenza in cui tutto può accadere? Da questo punto in poi mi sono fregato con le mie mani e ho deciso di proseguire. Ottima scelta direi, dato che con ciò ho letto uno dei romanzi che catalogo nella schiera dei libri da leggere assolutamente.
Auster ha scritto splendidamente, con una prosa limpida perché prodotta da limpido pensiero l'unica autobiografia possibile, ovvero un'autobiografia che racchiude tutte le sue vite possibili. Non occorre, infatti, che queste siano realmente accadute. Noi siamo anche ciò che non abbiamo agito, siamo ciò che avremmo potuto essere. Così come vita e morte sono unite sullo stesso piano e tutto va narrato, per aver un'idea dell'intero che è fatto di vuoto e pieno. In ciò il romanzo è davvero geniale, rivelatore.
Cito una tra le frasi del libro che ho più sentito mia: “Dio non era in nessun luogo, si disse, ma la vita era ovunque, la morte era ovunque, e i morti e i vivi erano uniti” In Chiedi a Coltrane (il mio dannato romanzo che uscirà entro marzo 2019 per Emersioni) ho sentito il bisogno di tenere insieme vivi e morti non tanto come ragione estetica, quanto perché unico modo di concepire la vita. Per questo sono stato sorpreso che 4,3,2,1 di Paul Auster mi sia venuto a trovare proprio adesso in circostanze così fortuite e considero ciò una benedizione.
Leggilo, dunque, se vuoi mettere a frutto il tuo tempo e capire finché ancora ti è utile ciò che davvero sei, a parte essere un gambero che, per quanto avanzi, conosce sempre e solo uno tra i molti scogli da vivere.
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